lunedì 28 maggio 2012

Libro 1

Il proemio e l'ira di Giunone [vv. 1-33]

Come l'Iliade e l'Odissea, l'Eneide si apre con l'esposizione dell'argomento del poema e l'invocazione alla Musa: il poeta si appresta a narrare le dolorose vicende e i pericoli affrontati da Enea prima di stabilirsi nel Lazio dopo la fuga da Troia, e chiede alla Musa che gli ricordi il motivo dell'ira implacabile che spinge Giunone a tenere lontani Enea e i suoi compagni dal lido italico. La dea predilige la città di Cartagine e agli antichi motivi del suo odio verso i Troiani se ne aggiunge un altro ben più grave: se Enea si insedierà nel Lazio, da lui discenderà una stirpe che dominerà su tutti i popoli del Mediterraneo e porterà rovina alla città che le è cara.

[vv.34-80]

La flotta troiana, continuando il suo viaggio, salpa dalla Sicilia diretta verso il Lazio. Giunone, risentita, si propone di ostacolare con ogni mezzo il viaggio di Enea. La dea è consapevole del fatto che il destino dell'eroe è quello di raggiungere l'Italia, ma non desiste dall'intento perché, se lo facesse, perderebbe il prestigio proprio della regina degli dèi. Si reca perciò presso la sede del re dei venti, Eolo, e lo convince a scatenare una furiosa tempesta contro la flotta di Enea. Come compenso, giunone promette in sposa a Eolo la più bella delle sue sette Ninfe.

La tempesta e l'approdo sulle coste della Libia [vv.81-221]

I venti scatenano una violenta tempesta che disperde le navi e le spinge verso la costa africana. Alcune navi sono in balia dei marosi e rischiano di affondare, altre urtano contro le scogliere, altre s'incagliano sui bassi fondali, una nave cola a picco. Nettuno però si accorge della tempesta e , indignato contro chi si è intromesso nel suo regno, impone ai venti di tornare nella loro dimora. Poi, correndo sull'ampia distesa del mare, riporta la calma. I superstiti trovano rifugio in un'insenatura dalle pareti a strapiombo, protetta da un'isoletta. Riescono ad approdare in questo porto naturale sette navi. I Troiani sbarcano e accendono un fuoco per asciugare il frumento bagnato. Frattanto Enea sale su un promontorio e guarda verso la distesa del mare alla ricerca di navi superstiti. Di lì vede invece un branco di cervi e ne uccide alcuni procurando così il cibo per tutti. Dopo che i naufraghi si sono sfamati, Enea, reprimendo l'angoscia e la preoccupazione per i compagni dispersi, conforta i superstiti, ricorda che insieme hanno affrontato situazioni ben più gravi e che ora più che mai dovranno mostrarsi coraggiosi: la meta è il Lazio dove finalmente potranno trovare una nuova patria.

[vv.223-253]

Tornata la calma sul mare per opera di Nettuno, la scena si sposta in cielo, dove Venere, la madre di Enea, si lamenta con Giove delle continue prove che il figlio è costretto ad affrontare, in contrasto con la gloriosa sorte promessa a lui e ai suoi discendenti

Giove conforta Venere [vv.254-296]

Giove sorridendo rassicura Venere che nulla è cambiato nel destino dell'eroe, il quale arriverà in Italia dove i suoi discendenti fonderanno un grande impero.

[297-417]

Giove manda Mercurio a Cartagine per fare in modo che i Cartaginesi, e in particolare la loro regina Didone, accolgano benignamente i Troiani. Enea, all'alba del giorno seguente, dopo aver nascosto le navi in un'insenatura protetta dai boschi, va a esplorare i luoghi circostanti accompagnato da Acate. I due incontrano una bellissima cacciatrice che li informa che si trovano sul territorio cartaginese, su cui regna Didone fuggita da Tiro, sua patria. A Tiro Didone aveva sposato Sichèo. Questi era stato ucciso dal fratello di lei, Pigmalione, che voleva impossessarsi delle immense ricchezze di Sicheo. L'ombra del marito era apparsa in sogno alla moglie esortandola a fuggire subito da Tiro. Didone obbedì e lasciò la città con una schiera di compagni portandosi i tesori che Pigmalione bramava possedere. La cacciatrice incoraggia Enea a entrare nella nuova città che Didone sta edificando e a chiedere ospitalità alla regina; inoltre, gli annuncia che le navi che credeva perdute sono scampate al naufragio. Detto questo, si dilegua ed Enea riconosce in lei la madre Venere. La dea avvolge Enea e Acate in una nube in modo da renderli invisibili. Giunti in città, i due salgono su un'altura da dove si possono scorgere i Tirii intenti alla costruzione degli edifici

L'accoglienza di Didone. Cupido fa innamorare la regina [vv.418-756]

Nel centro della città c'è un bosco sacro  nel quale Didone sta innalzando un tempio a Giunone. Enea entra nel tempio e comprende di essere tra uomini civili perché vede raffigurate in vari quadri le scene della guerra di Troia. Intanto nel tempio fa il suo ingresso la bellissima regina che con saggezza amministra la giustizia e distribuisce incarichi tra i sudditi. Davanti alla regina si presenta un'ambasceria di Troiani dispersi dalla tempesta e spinti in un altro punto della costa. Il loro capo Ilioneo supplica la regina di impedire l'incendio delle navi: essi sono naufraghi e non pirati venuti per saccheggiare, e sperano di ricongiungersi con il loro re Enea, la cui nave è stata dispersa dalla tempesta. Ilioneo chiede inoltre di essere ospitato con i suoi compagni per tutto il tempo necessario alla riparazione delle navi. Essa rassicura i Troiani e promette che saranno accolti amichevolmente: conosce le loro imprese e ciò che è accaduto alla loro città. Si augura che Enea sia sopravvissuto e si impegna a far perlustrare la costa alla sua ricerca. A queste parole Enea e Acate sono impazienti di presentarsi, mentre Venere rende più splendente di bellezza e di giovinezza il figlio. Didone accoglie benevolmente i supplici troiani che chiedono ospitalità. Enea esprime gratitudine ala regina, che lo invita al palazzo e provvede a mandare provviste ai Troiani rimasti in riva al mare. Acate è inviato alle navi perché informi Ascanio e lo faccia venire alla reggia recando vesti preziose e gioielli da offrire in dono alla regina. Venere diffida dei Cartaginesi e della regina e perciò decide di sostituire Ascanio con il figlio Cupido, affinché questi susciti nella regina l'amore per Enea. Venere spiega a Cupido il motivo della sua decisione e lo invita ad accendere la fiamma dell'amore nella regina, quando essa lo accoglierà in grembo. Cupido accetta volentieri l'incarico affidatogli dalla madre e sotto le sembianze di Ascanio giunge alla reggia con i doni. Ha inizio il sontuoso banchetto a cui prendono parte anche numerosi Cartaginesi. Didone, colpita dalla bellezza del falso Ascanio, fa sedere sul suo grembo il fanciullo che infonde in lei una viva passione per Enea cancellando dalla sua memoria l'amore per Sicheo. Terminato il banchetto, vengono portati grandi crateri pieni di vino. Didone brinda invocando la protezione degli dei sui Cartaginesi e sui Troiani. Poi il cantore Iopa allieta i convitati con i suoi canti che celebrano l'ordine cosmico. Didone, ormai vinta dall'amore, non si stanza di interrogare Enea sui fatti della guerra troiana e infine lo prega di narrare l'insidia del cavallo e le sventure toccate a lui dopo la distruzione della città.

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